Nemesi di Philip Roth, una medicina necessaria




Non c'è libro tanto brutto che in qualche sua parte non possa giovare.
Plinio il Vecchio

Innanzitutto desidero fare un paio di premesse. La prima è che amo alla follia gli autori ebrei, di qualsiasi nazionalità essi siano, e Philip Roth non fa eccezione. La seconda: Nemesi non è un brutto libro, anzi! Ma la frase di Plinio mi è sembrata ad hoc per sintetizzare il malessere che ho provato nel leggerlo (e nel leggere qualsiasi altro libro di Roth). E' come una buona medicina: amara ma terapeutica. Ma come qualsiasi medicina che si rispetti, i romanzi di Roth vanno presi con il giusto dosaggio, secondo prescrizione (assolutamente da evitare durante i periodi di malinconia o di depressione di vario tipo).

Il titolo del libro lascia intuire una catarsi: quella vissuta dal protagonista, Bucky Cantor, un ragazzo ebreo orfano di madre, futuro insegnante di educazione fisica, impegnato come animatore in un campo estivo, durante la terribile estate del 1944, quando un'epidemia di poliomelite falcidia parecchie giovani vite, tra cui diversi ragazzi del suo campo giochi a Newark.

Per il giovane e vigoroso Bucky, riformato perchè portatore di un grave difetto alla vista, questo lavoro diventa una vera e propria missione, che affronta come un guerriero per controbilanciare il senso di frustrazione per non essere stato arruolato assieme ai suoi compagni.

Ma nonostante la sua determinazione, il suo coraggio e il suo senso del dovere - valori che ha appreso dai nonni che lo hanno cresciuto con amore e che cerca di trasmettere ai ragazzi del campo giochi, diventando per loro un eroe - Bucky sarà costretto a capitolare di fronte all'ineluttabilità della tragedia, mettendo in discussione i propri valori e la propria vita.

In realtà, questo della catarsi, è un tema ricorrente nella produzione letteraria di Roth, probabilmente il tema centrale attorno a cui ruotano tutti i suoi romanzi. Non è forse una catarsi quella vissuta dal cinico professor David Kepesh, protagonista de L'animale morente, fedele al suo giuramento di non legarsi mai ad una donna fino a tarda età, che finisce per capitolare repentinamente quando irrompe nella sua vita Consuelo Castillo, una giovane studentessa cubana, che lo rende succube del desiderio e della gelosia e lo fa confrontare, per la prima volta, con l'imprevedibilità della vita? E non è una catarsi quella descritta con tanta sincerità dall'autore in Patrimonio, libro di memorie che Roth ha scritto sugli ultimi giorni di vita del padre e sul segno indelebile che questa esperienza ha lasciato nella sua vita? O la svolta imprevista che prende la vita dell'irreprensibile Professor Coleman, protagonista de La macchia umana, la cui brillante carriera accademica e vita familiare vengono stravolte da un'unica parola sfuggitagli per sbaglio, da un'unica macchia nel suo immacolato curriculum vitae?

Concludendo: Roth va letto, assolutamente, per riflettere sulla vita e il senso che le stiamo dando. Nemesi va letto anche per scoprire che, non molti decenni fa, gli appestati da tenere alla larga erano i nostri emigranti.

Philip Roth
Nemesi
Traduzione di Norman Gobetti
Giulio Einaudi Editore 

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