BYUNG-CHUL HAN, LE NON COSE - Come abbiamo smesso di vivere il reale

Byung-chul Han è un filosofo sud coreano naturalizzato tedesco. Ha studiato Filosofia, Germanistica e Teologia a Friburgo e Monaco di Baviera. Si occupa di teoria della cultura e ha insegnato presso la Universität der Kunste di Berlino. Grande studioso di Heidegger, in questo ultimo saggio prende le mosse dall'opera del filosofo tedesco per elaborare la sua critica alla società contemporanea in cui l'avvento dell'era digitale ha profondamente trasformato il rapporto dell'uomo con le cose e la realtà. Di seguito alcuni dei passaggi più interessanti contenuti nel saggio.

Sul passaggio dalle cose alle non-cose

Le cose sono sempre state i punti fermi dell'esistenza, ma oggi le informazioni le hanno completamente insabbiate. Per Heidegger l'essere dell'uomo nel mondo (Dasein) si concretizza attraverso l'uso della mano, la manipolazione. Ma oggi non manipoliamo cose passive: viviamo in un'infosfera, in cui comunichiamo e interagiamo con infomi, che a loro volta agiscono e interagiscono. 

Gli infomi, a differenza delle cose, ci assediano amorevolmente cercando di eliminare dalla nostra vita qualsiasi tipo di cruccio (ad esempio non devo più imparare a memoria informazioni, numeri di telefono, date, stradari, mappe, lemmi, ecc. perché tutto è a portata di un tocco delle dita). Ma l'esserci è cruccio e il rischio che stiamo correndo è che l'intelligenza artificiale smaltisca l'esistenza umana, crucci compresi, portando avanti un'ottimizzazione della vita e debellando la contingenza del futuro.

Le informazioni sono additive, non narrative. Ma solo le narrazioni generano senso e tenuta. L'ordine digitale, numerico, è privo di storia e memoria, quindi frammenta la vita. Se l'essere è informazione, è del tutto disponibile e influenzabile. L'infosfera, infatti, è un Giano bifronte: ci garantisce una maggior libertà ma a prezzo di una crescente sorveglianza, che si insinua sempre più nel quotidiano sotto forma di comodità. Da un certo momento in avanti le informazioni non informano più, bensì deformano. L'entropia informativa appiattisce la differenza tra vero e falso. Anche le fake news sono informazioni, perché ciò che conta è l'effetto di breve periodo. L'efficacia sostituisce la verità. La verità è fatticità ed è impegnativa, come tutto ciò che stabilizza la vita umana (fedeltà, legami, vincoli).

Oggi corriamo dietro alle informazioni senza approdare ad alcun sapere. Prendiamo nota di tutto senza imparare a conoscerlo. Viaggiamo ovunque senza fare vera esperienza. Comunichiamo ininterrottamente senza prendere parte a una comunità. Salviamo quantità immani di dati senza far risuonare i ricordi. Accumuliamo amici e follower senza mai incontrare l'Altro. Così le informazioni generano un modo di vivere privo di tenuta e di durata.

L'intelligenza artificiale trasforma le cose in infomi. L'astuzia consiste nel fatto che l'essere umano non fa solo lavorare le cose al posto suo, le fa anche pensare. La vita diventa un gioco (gamification); l'essere umano del futuro non è un operaio (homo faber), bensì un giocatore (homo ludens). Gli uomini del futuro sono senza mani. La mano è l'organo del lavoro e dell'azione. Il dito, di contro, è l'organo della scelta. L'uomo senza mani del futuro sceglie invece di agire. Schiaccia dei tasti per soddisfare i propri bisogni. La libertà di azione dell'uomo moderno sprofonda nella libertà di scegliere e consumare dell'homo ludens. Ma solo la mano è davvero in grado di scegliere, di concepire la libertà come azione.  In un regime di controllo totale gli essere umani si limitano a giocare (panem et circenses di Giovenale). 

Dal possesso all'esperienza

Oggi vogliamo più esperire che possedere, più essere che avere. I ricordi conservati nelle cose non hanno più valore e cedono il passo a nuove esperienze. Oggi non vogliamo più legarci né alle cose né alle persone. I legami sono inattuali perchè sminuiscono la possibilità di fare esperienza, ovvero la libertà nel senso consumistico del termine.

Persino dal consumo delle cose ci aspettiamo delle esperienze. Il portato informativo degli oggetti, l'immagine di un marchio, diventa più importante del loro valore di consumo. I prodotti vengono caricati di emozioni mediante lo storytelling.

Le informazioni non si lasciano possedere facilmente come le cose, per cui si fa largo l'idea che appartengano a tutti. Il mondo di informazioni non è regolato dal possesso bensì dall'accesso (sharing economy). Secondo Jeremy Rifkin il passaggio dal possesso all'accesso è un profondo cambio di paradigma che porterà all'avvento di una nuova tipologia di essere umano.

Nell'epoca delle non-cose il possesso è percepito come qualcosa di utopico, dotato com'è di intimità e interiorità. I gadget elettronici non sono fatti per essere posseduti, solo consumati e gettati. Solo le cose discrete possono animarsi e starci a cuore, caricarsi di emozioni e libido. Gli odierni beni di consumo sono indiscreti, invadenti e ciarlieri. Sono già zeppi di idee ed emozioni precotte che assalgono il consumatore. 

Un esempio su tutti è l'ebook: esso non è una cosa, bensì un'informazione. Utilizzarlo non equivale a un possesso ma a un accesso. È la mano del proprietario a dotare il libro cartaceo di un volto inconfondibile, di una fisionomia. Gli ebook sono privi di volto e di storia. Vengono letti senza mani. Nello sfogliare è insito l'elemento tattile di qualsiasi relazione. Senza contatto fisico non emergono legami. 

Il mondo visto attraverso lo smartphone

La mobilità dello smartphone ci dà un senso di libertà e ci illude di avere tutto il mondo in pugno, potenziando l'autoreferenzialità. Il senso del tatto, secondo Roland Barthes, è "il più demistificante dei nostri sensi, al contrario della vista che è il più magico". Il bello nel senso enfatico del termine è intoccabile, impone distanza. Il touch screen elimina la negatività dell'altro, dell'indisponibile. L'indice che ordina merci o cibo trasferisce il proprio habitus consumistico in altri ambiti. Tutto ciò che tocca assume la forma di una merce. Nel caso di Tinder, si degrada l'Altro a oggetto sessuale, consumabile.

Mediante lo smartphone ci ritiriamo in una bolla che ci protegge dall'Altro. La comunicazione via smartphone è senza corpo né sguardo. L'assenza dello sguardo è corresponsabile della perdita d'empatia nell'epoca digitale. Persino ai bambini piccoli viene impedito l'accesso allo sguardo ogni volta che la loro persona di riferimento fissa lo schermo. La mancanza dello sguardo conduce a una relazione distorta con sé e con l'Altro. Spesso filtriamo la realtà attraverso lo schermo, riducendola a informazioni che registriamo. Pensiamo ad esempio a quanto accaduto a Capodanno 2024 a Parigi, sugli Champs-Elysées, dove centinaia di migliaia di persone accorse per assistere al countdown e allo spettacolo pirotecnico hanno alzato il proprio smartphone per riprendere la scena, per testimoniare "io c'ero", ma probabilmente senza davvero godersi lo spettacolo (qui il video).

Le  cose normalmente non ci spiano, perciò abbiamo fiducia in esse. Lo smartphone, al contrario, non è solo un infoma ma anche un efficacissimo informatore che sorveglia senza sosta il suo proprietario. Non siamo noi a usare lo smartphone ma viceversa. Lo smartphone quindi non emancipa e la costante raggiungibili non si differenzia sostanzialmente dalla servitù.

Lo smartphone è un oggetto narcisistico e autistico grazie al quale si percepisce soprattutto se stessi. Esso rende l'Altro disponibile, reificandolo. La scomparsa dell'Altro il motivo per cui lo smartphone ci rende soli. 

Sull'intelligenza artificiale

Il pensiero umano è un processo decisamente analogico. Prima che esso colga il mondo, è il mondo a toccarlo, a commuoverlo. L'aspetto emotivo è essenziale per il pensiero umano. L'essere umano, in quanto esser-ci viene sempre gettato in un mondo pre-disposto. L'esistenza predispone la coscienza. Nella sua iniziale, profonda commozione, il pensiero è fuori di sé. Spirito significa in origine essere fuori di sé, in uno stato di profonda commozione. L'intelligenza artificiale non pensa poiché non è fuori di sé. L'intelligenza artificiale sa calcolare molto in fretta ma le manca lo spirito.

Il pensiero ascolta, l'intelligenza artificiale è sorda. Il pathos è l'inizio del pensiero, l'intelligenza artificiale è apatica. Essa è incapace di pensare perché non ha accesso alla totalità da cui prende le mosse il pensiero, è priva di mondo e si limita a processare fatti precostituiti che restano uguali a sé stessi.

Big Data suggerisce un sapere assoluto. Si annuncia una nuovissima era del sapere. In realtà abbiamo a che fare con una forma davvero primitiva dello stesso. Il data mining mette a nudo le correlazioni, che secondo Hegel sono la forma più bassa di sapere (correlazione tra A e B significa che A si verifica spesso insieme a B ma non spiega il perchè). È solo il concetto a cogliere il nesso tra A e B. È C ad includere davvero A e B. Il concetto ricostruisce la cornice, la totalità che comprende A e B. Il sapere nel senso proprio del termine è possibile solo al livello del concetto, che è immanente alla cosa stessa. 

Big Data mette a disposizione un sapere rudimentale che resta limitato a correlazioni e riconoscimenti di schemi, senza tuttavia consentire la comprensione di alcunché. Il pensiero si nutre dell'eros. Il calcolo è privo di eros. I dati e le informazioni non seducono.

Secondo Deleuze, la filosofia si eleva mediante un "faire l'idiot". Non è l'intelligenza, bensì l'idiozia a caratterizzare il pensiero. Ogni filosofo che crea un nuovo pensiero, un nuovo idioma, una nuova lingua, è un idiota perché prende congedo da tutto ciò che è stato e abita un livello d'immanenza del pensiero ancora vergine, non scritto. L'intelligenza artificiale non riesce a pensare perché non è in grado di "faire l'idiot". È troppo intelligente.




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