Mi chiamo Lucy Barton, di Elizabeth Strout



Quest'anno la mia scorpacciata di libri si è conclusa con un piccolo ma intenso romanzo americano firmato da una delle mie autrici preferite: Elizabeth Strout. Di quanto sia brava la Strout ve ne ho già parlato recensendo Olive Kitteridge e gli altri suoi romanzi. Mi chiamo Lucy Barton però merita un posto speciale nella mia biblioteca: mi ha fatto sentire una figlia speciale, molto fortunata, e una madre ancor più fortunata.

Il rapporto madre-figlia è probabilmente quello più analizzato dalla letteratura, soprattutto dalle autrici per ovvi motivi. È un rapporto spesso conflittuale, basato su un legame profondo e allo stesso tempo castrante. D'altro canto la naturale disposizione alla rivalità di noi donne spesso lascia poco spazio ad alternative. Se la madre è bellissima o bravissima, la figlia è destinata a vivere tutta la vita nella sua ombra, consapevole di non essere all'altezza del confronto e tutti, persino i vicini di casa, non risparmieranno occasione per ricordarglielo. Se quella più bella o brava è la figlia, la madre farà di tutto per farla sentire in colpa, sminuirla, ridicolizzarla.

Il rapporto tra Lucy e la madre fa parte della seconda categoria: la madre non le ha mai perdonato di aver studiato, di aver abbandonato Amgash, la cittadina in cui Lucy è nata e dove ha vissuto un'infanzia durissima, vivendo insieme alla famiglia in un garage e nutrendosi di pane e melassa tanta era la miseria in cui nuotavano. Una realtà dalla quale Lucy è fuggita trasferendosi a New York appena ha potuto, per seguire la sua vocazione di scrittrice.

Ora che Lucy è ricoverata in ospedale perchè un batterio misterioso l'ha messa ko, la madre ricompare improvvisamente nella sua vita e Lucy ha finalmente l'opportunità di ricucire il suo rapporto con lei, di riascoltare le storie di quando era bambina, di capire veramente chi è e perché è voluta diventare una scrittrice.

Ma sarà al capezzale della madre, qualche anno dopo, che Lucy potrà finalmente dirle addio e iniziare a vivere senza di lei, senza la sua ombra che l'ha sempre schiacciata e protetta al tempo stesso. Ora anche Lucy sta soffrendo per la lontananza delle figlie, che sono entrambe partite per il college, e il suo matrimonio con William, il padre delle ragazze, è finito.

Un libro molto intimo e notturno, incentrato sul valore della memoria, sulla necessità di fare i conti con i nostri ricordi - spesso molto rielaborati - per capire chi siamo veramente e per poter finalmente realizzare il nostro destino e non vivere solo il ruolo di figlia, moglie o madre.

Elizabeth Strout
Mi chiamo Lucy Barton
Traduzione di Susanna Basso
Einaudi


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